Si scrive “cachi” o “kaki”?

Fra qualche settimana sarà estate. Insieme al sole, al caldo e alle giornate in spiaggia arriva anche la tipica frutta di questa stagione. Qualcuna è già presente nei reparti dei supermercati e nei fruttivendoli, altre arriveranno a breve. Volete sapere quale sono le mie preferite? L’anguria, i fichi, le fragole e le ciliegie.

Con questo non voglio dire che non mangio altro! Invece, c’è un altro tipico frutto della stagione estiva che non disdegno affatto, anche se non lo consumo molto spesso: il caco. “Ma non si dice cachi o kaki?”. Ottima domanda, che introduce l’argomento di oggi.

Si scrive “cachi” o “kaki”?

Non c’è dubbio che parole come “cachi” generano non poche difficoltà. Premesso che la forma “caco” che ho utilizzato prima, nonostante sia soggetta a diverse diatribe, può essere tranquillamente usata, quella più diffusa è comunque la forma “cachi”.

Secondo la prestigiosa Treccani, il cachi è “un albero della famiglia ebenacee (latino scientifico Diospyros kaki), alto fino a 8 m, con fiori ascellari, solitari, persistenti, a corolla gialliccia, e frutto costituito da una bacca, grossa come una mela, gialla o rossa, con polpa molle, succosa, dolce se maturo. Originario del Giappone e della Cina settentrionale, è coltivato anche in Europa per i frutti e per ornamento. Il frutto del cachi viene detto anche diospero o diospiro; esiste anche la variante popolare caco”.

E la forma kaki? Come riporta la Treccani, il termine scientifico dato all’albero del cachi è “Diospyros kaki”. Il primo nome deriva dal greco ed è costituito dall’accostamento di due parole: “Dios”, con riferimento a Giove e “pyros, che significa frumento; il secondo nome “kaki” si riferisce al colore arancio del frutto, tipico della terra arida e siccitosa dalla quale si sviluppa la pianta.

La spiegazione è indicativa, anche se non riesce a dare l’esatta dimensione della questione. Utilizzare cachi o kaki è essenzialmente la stessa cosa poiché la seconda forma richiama una parte del nome botanico dato alla pianta. Questa transizione alternativa, però, dovrebbe essere utilizzata con molta attenzione. Essendo kaki una parola esotica, si è pensato bene di darle una semantica più vicina alla nostra lingua trasformandola in cachi. Nel caso in cui voleste approfondire l’argomento, basta fare una ricerca di tutte le parole esotiche che sono state adattate alla tipica forma sintattica italiana. Rimarrete veramente sorpresi!

In conclusione, anche se la forma “cachi” viene considerata quella corretta, utilizzare quella originaria “kaki” non è sinonimo di errore grammaticale, ma piuttosto più una questione di correttezza sintattica e semantica. Volete un mio consiglio? Usate la prima, che è più semplice da ricordare quando bisogna scriverla. Alla prossima!

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